SCEGLIERE DI CAMBIARE: L’ASSEMBLEA NAZIONALE CONFINDUSTRIA. ECCO LA RELAZIONE DEL PRESIDENTE BONOMI

“È il tempo di scegliere di cambiare. Perché cambiare è certo difficile, ma non cambiare per l’Italia sarebbe fatale. Noi ci battiamo per gli interessi del Paese, prima che dell’industria. E crediamo che questi interessi vengano prima dei nostri rispettivi ruoli. Perché non c’è immunità di gregge che ci salvi, se che ognuno dei componenti non esercita una grande responsabilità. E’ tempo di fare come ci ricorda Bebe Vio: Fatti dire che è impossibile, e dimostra a tutti che puoi farcela”.

Così il presidente Carlo Bonomi ha concluso la sua relazione all’Assemblea Nazionale di Confindustria.

Bonomi ha innanzitutto ricordato insieme all’intera Assemblea le 130 mila vittime in Italia del COVID. E si è rivolto al Capo dello Stato. “Desidero ringraziare a nome di tutti noi il custode più alto dei valori della Repubblica e della nostra Costituzione. Il Presidente Mattarella rende un eccezionale servizio ogni giorno al Paese. Desidero ringraziarlo particolarmente, sia per il suo fermo e costante invito a vaccinarsi rivolto da molti mesi a tutti gli italiani, sia per le sue recenti iniziative a sostegno di un’Europa più forte e coesa, in politica estera come nella difesa”.

Le direttrici dei profondi cambiamenti necessari indicati da Bonomi nella sua relazione sono quattro: quella rappresentata dal presidente del Consiglio Mario Draghi; le riforme strutturali indicate dal PNRR; un nuovo rapporto con i sindacati; il Fit-for-55 e la transizione energetica.

Draghi non è un uomo della provvidenza, non è uomo della possibilità, è un uomo della necessità” – ha detto Bonomi. “Come De Gasperi, come Baffi, come Ciampi: personalità che avvertono il dovere di rispondere ai problemi della comunità italiana, prima che all’ambizione di restare a qualunque costo al suo timone”.

“La mano decisa – ha detto Bonomi – con cui Draghi e il suo Governo hanno mutato energicamente su finalità e governance le prime 80 pagine del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, il modo in cui il Governo sta scrivendo le riforme fondamentali, pilastri del Piano, introducendo obiettivi prima inesistenti, come produttività e concorrenza, hanno rapidamente ed efficacemente risposto alle aspettative delle imprese.  La mano ferma con cui è stata ridefinita e accelerata la campagna vaccinale ci ha, in pochi mesi, condotto a una percentuale di vaccinati sulla popolazione che nei primi mesi dell’anno appariva fuori portata. La stessa mano ferma con cui il Governo ha assunto una settimana fa, la decisione dell’obbligo di introdurre il green pass per tutto il lavoro pubblico e privato. Una decisione che noi, condividiamo integralmente: finalmente ha prevalso la sicurezza dei luoghi di lavoro e la continuità delle nostre produzioni”.

“Ogni atto di queste azioni, in pochi mesi, ha trasmesso al Paese, ai mercati e al mondo, una nuova fiducia verso la credibilità dell’Italia” – ha continuato Bonomi – “Non è solo nell’interesse dell’Italia, che il Governo Draghi continui a rappresentarci al tavolo dove, l’anno prossimo, si discuteranno la revisione del Patto di stabilità e crescita, degli aiuti di Stato e delle misure straordinarie assunte dalla BCE. È nell’interesse dell’Europa, in cui noi fermamente crediamo, che il Presidente Draghi rappresenti una delle personalità di riferimento nella prossima stagione di future riforme europee. Serve un’Europa più coesa nelle sue regole finanziarie, più unita nella sua politica estera, più forte e più integrata nella politica di difesa”.

“Ecco perché noi imprese non esitiamo a dire che ci riconosciamo nell’esperienza e nell’operato del Governo guidato dal Presidente Draghi e che ci auguriamo continui a lungo nella sua attuale esperienza. Senza che i partiti attentino alla coesione del governo pensando alle prossime amministrative, o con veti e manovre in vista della scelta da fare per il Quirinale.  Grazie, dunque caro Presidente. Grazie per aver ricordato ancora una volta la settimana scorsa che per risolvere i problemi italiani “le cose giuste vanno fatte, anche se e quando sono impopolari” “. 

La seconda direttrice del cambiamento: le riforme.

“La nostra preoccupazione è sulle riforme -ha detto Bonomi- quelle strutturali e di contesto indicate nel PNRR. Il cronoprogramma delle riforme rischia di slittare. I ritardi mettono a rischio le prossime tranche di fondi europei. E soprattutto allontanano nel tempo ciò che più serve: che il PNRR venga scaricato a terra, bene e al più presto.  Questa è un’occasione storica e queste risorse non sono eterne, quindi una cosa è sicura: Confindustria si opporrà a tutti coloro che vorranno intralciare il processo delle riforme. A chi flirta coi NO VAX invece di pensare alla sicurezza di cittadini e lavoratori, come a chi pensa che questo Governo sia a tempo, e allora basta tergiversare, perché poi le riforme si faranno quando governerà l’una o l’altra parte”.

“NO” – ha detto Bonomi- “le riforme occorre farle adesso. Basta rinvii, basta giochetti, basta veti.  Basta davvero”.

Bonomi a questo proposito ha riepilogato alcuni punti prioritari per Confindustria nelle riforme attese.

“Sulla concorrenza, leggiamo che i partiti non mollano nella difesa dei troppi settori dell’economia italiana sottratti alla logica della concorrenza e del mercato. Cioè sottratti ai più forti stimoli necessari per accrescere la produttività: quella produttività che in tutti questi anni è stata stagnante. Non facciamo polemiche contro i partiti: le loro difese delle rendite si commentano da sole.

“Facciamo invece un appello al governo su almeno tre nodi essenziali. Primo: basta gestioni in house dei servizi da parte di Comuni e Regioni, servono gare vere aperte ai privati e non impugnate poi al TAR come accaduto negli ultimi anni per quasi tutte quelle sul Trasporto Pubblico Locale. Secondo: più accesso ai privati nell’offerta di servizi sanitari secondo gli standard del Servizio Sanitario Nazionale, come indicato dall’Autorità Garante del Mercato nelle proposte inviate al governo. Terzo: una regola standard in linea con le Direttive comunitarie sulla durata delle concessioni pubbliche, essa va ricondotta ai 5 anni standard europei, le eccezioni vanno giustificate solo laddove sia comprovato che davvero rechino benefici economici e non siano rendite dei concessionari”.

“Sul fisco – ha detto Bonomi – abbiamo speso miliardi per Alitalia e la neocompagnia ITA, 18 miliardi di qui al 2028 per Quota100, non possiamo fare la riforma del fisco con soli 3 miliardi. Per quella che dovrebbe essere a detta di tutti una leva essenziale per la crescita e la competitività, delle imprese e degli occupati, dei redditi e dei consumi tanto compressi. Non serve solo un intervento sulla tagliola rappresentata dall’attuale aliquota IRPEF 38%. L’OCSE ha indicato ancora una volta la via, come fa da tanti anni: meno tasse su impresa e lavoro, tagliando il cuneo fiscale. Quindi non solo interventi sull’IRPEF, non solo una radicale revisione di tutti i bonus introdotti da destra e sinistra, che con prelievi forfettari hanno minato l’imponibile e introdotto distorsioni e iniquità inaccettabili nel prelievo sul reddito delle persone fisiche. Ma anche via l’IRAP e un sistema di imposizione sui redditi societari più attrattivo rispetto a quello attuale”.

“Se la proposta fosse – ha continuato Bonomi – aboliamo l’IRAP, a condizione che una parte dei 15 miliardi che oggi pagano i privati siano trasformati da entrate fiscali a cofinanziamento delle nuove politiche attive del lavoro, saremmo d’accordo, ma a una condizione. Che la riforma delle politiche attive del lavoro venga fatta sulla base della pari dignità tra Centri Pubblici per l’Impiego, totalmente inefficienti, e APL private che invece sono molto più efficaci sia nella formazione sia nella ricollocazione dei lavoratori. Ma se invece si punta tutto solo sul sistema pubblico e sui navigator, anziché guardare al modello misto tedesco che ha rimesso in piedi la Germania 15 anni fa, allora no grazie.

“Quanto all’imposizione sui redditi societari, pensiamola come strumento di crescita e non dimentichiamoci che è strumento di competitività internazionale: sosteniamo gli investimenti a massimo valore aggiunto, ricerca, digitale, efficienza energetica in primis, riducendo i gap che ci dividono dai nostri principali Paesi competitor. Mettiamo un po’ di olio negli ingranaggi nei processi di riorganizzazione aziendale e accompagniamo le operazioni di patrimonializzazione e capitalizzazione. Come ci sollecita anche la Commissione europea, vanno ripensate le attuali modalità di utilizzo delle perdite fiscali, ricorrendo a meccanismi di carry-back e prevedendo una maggiore flessibilità nel loro utilizzo, oltre a un trattamento fiscale più favorevole dell’indebitamento, come consente il diritto UE.

“Sulla previdenza – ha detto Bonomi – l’intervento non può risolversi in una Quota100 travestita. Se si vuole un confronto su agevolazioni per i soli lavori usuranti, parliamone. Ma usuranti davvero, non l’ennesima salvaguardia dopo la raffica adottata in questi ultimi anni, che nulla aveva più a che fare né con gli esodati della Fornero, né con lavori realmente usuranti. Quel che sembra a noi è che gli oneri del sistema contributivo andrebbero riorientati finalmente al sostegno e all’inclusività delle vittime ricorrenti delle crisi italiane: cioè giovani, donne e lavoratori a tempo, invece di essere bruciati sull’altare del fine elettoralistico di prepensionare chi un lavoro ce l’ha. Quota100, in un sistema a ripartizione come il nostro, è stata un furto ai danni dei soggetti fragili del nostro welfare squilibrato, può e deve davvero bastare così”.

“Sul mercato del lavoro – ha detto Bonomi – la riforma degli ammortizzatori sociali e delle politiche attive è stata rinviata, perché si pensava che il blocco per legge dei licenziamenti fosse la panacea. È stata una sciocchezza. Plurima. Non ha impedito che nel 2020 quasi un milione di occupati abbiano perso il lavoro. E ha alimentato la tesi ancor più infondata che, abolendo il blocco, ci sarebbero stati a quel punto milioni di licenziamenti. I numeri ci dicono, invece, che da inizio anno il numero di persone effettivamente al lavoro è risalito di oltre 500mila unità. E dicono che a luglio, caduto il blocco, la corsa a licenziare non c’è stata affatto. Il problema del lavoro è tutt’altro: mancano decine e decine di migliaia di profili tecnici adeguati alle richieste delle imprese. Ed è un problema perché noi vogliamo assumere e crescere, non licenziare.

Sì a un ammortizzatore sociale universale – ha detto Bonomi – ma di natura assicurativa, non una mera integrazione al reddito, pur necessario, ma strumento anche di riqualificazione aperto alla libera scelta individuale del lavoratore. Anche nelle crisi ordinarie d’impresa serve formazione e serve ricollocazione, perché le aziende possano assumere nuove competenze. Confermare la CIG con minimi interventi a latere, continuare a credere che l’ammortizzatore sociale debba essere fondato sulla difesa del lavoro dov’era e com’era, è un errore smentito da decenni: di qui nascono i cassintegrati storici degli oltre 100 tavoli di crisi aperti al MISE. E proprio perché il nuovo ammortizzatore universale dev’essere di tipo assicurativo, allora tutti i nuovi soggetti beneficiari lo devono pagare in proporzione all’utilizzo. E se i partiti non vogliono dirlo per ragioni elettorali, noi dell’industria non possiamo accettare di restare a far da bancomat come accade già con la CIG, e aggravando per di più la spesa per i contribuenti… ha pienamente ragione il MEF su questo”.

“Quanto alle politiche attive, da luglio 2020 ripetiamo che per noi la scelta è quella pubblico-privata.  Non solo basata sui Centri Pubblici per l’Impiego, inefficienti. Sia ammortizzatori che politiche attive devono basarsi su un eguale doppio pilastro: formazione e ricollocazione. Servono nuove competenze per ridare dignità al lavoro: il problema in Italia è che mancano ai giovani, e mancano anche in chi ha lavorato per anni e anni con vecchie tecnologie e modelli organizzativi ormai superati.

La terza direttrice del cambiamento: una nuova stagione di intese con i sindacati.

“Luigi, Maurizio, Pierpaolo – ha detto Bonomi rivolgendosi ai segretari di Cgil, Cisl e UIL – noi non siamo partiti in lotta. Di fronte ai ritardi e alle sempre più gravi fratture sociali della nostra Italia, lavoro e impresa devono costruire insieme accordi e indicare strade e strumenti che la politica stenta a vedere. Se non avessimo convenuto e definito insieme i protocolli per la sicurezza sanitaria nelle fabbriche e nelle imprese, fin dalla primavera del 2020, non avremmo creato la possibilità di soddisfare neanche la domanda di dispositivi di emergenza e prevenzione sanitaria che all’Italia erano divenuti impellenti, non avremmo assicurato i servizi pubblici essenziali.  Io credo in quello spirito.  Non si tratta di venir meno agli interessi diversi che rappresentiamo.  Ma di servirli meglio, confrontandoci su soluzioni concrete. Per poi magari proporle insieme alla politica, rendendole più forti e più difficili da respingere”.

Bonomi ha fatto tre esempi concreti.

Primo: la sicurezza sul lavoro. Si continua a morire lavorando, non possiamo accettarlo. Si pensa a un meccanismo punitivo ex post, a una specie di pagella per sanzionare gli incidenti mortali una volta avvenuti. Perché non pensiamo, invece, insieme, a una soluzione che intervenga prima degli incidenti, e che ne abbatta la possibilità?  Avviamo commissioni paritetiche imprese-sindacati in ogni azienda subito, applicando la norma del Decreto legislativo n. 81 del 2001, e dando attuazione alla compartecipazione in azienda di cui parlava il Patto della Fabbrica.  Partiamo subito, se ci state. Gli incidenti vanno prevenuti segnalando ex ante qualunque rischio o eventualità di malfunzionamento o scollegamento dei dispositivi di sicurezza in linea, e garantendo ogni tutela a chi segnala, è questo che abbatte gli incidenti”.

Secondo esempio: le politiche attive. A Brescia – ha detto Bonomi – di fronte a oltre 100 disoccupati qualificati di un’impresa dell’automotive che chiude la produzione, la nostra Associazione si è dichiarata subito disponibile a riallocarli. Perché allora non lavorare insieme per estendere il più possibile la collaborazione diretta delle nostre organizzazioni anche di fronte alla formazione e ricollocazione dei lavoratori? Lo prevedevano tanti anni fa le proposte del compianto professor Marco Biagi, ma oggi è il momento di decidersi a farlo. Abbiamo gli strumenti: come i fondi interprofessionali. Altri ne possiamo creare, se lavoriamo insieme”.

Terzo esempio: lo smart working. A fine anno scadono le norme derogatorie che hanno consentito nel COVID il lavoro a distanza. Preferite che sia la politica a dettare tipologie, diritti e caratteristiche dello smart working? O non è meglio invece sedersi noi tutti a un tavolo e lavorare a un protocollo interconfederale su cui far convergere imprese e lavoro, da sottoporre poi alla politica come base acquisita? Noi preferiamo la seconda strada. Facciamolo almeno noi, un vero Patto per l’Italia. Non serve a niente l’antagonismo, serve più compartecipazione.  Non servono le contrapposizioni, ma entusiasmo e fiducia. Noi ci siamo, non perdiamo altro tempo”.

La quarta direttrice del cambiamento: la transizione energetica e i suoi rischi    

“La ripresa italiana – ha detto Bonomi – è avviata verso il +6% del PIL in questo 2021. È un dato che ci dà fierezza, perché a trainarlo è l’industria, la manifattura con il suo export. Ma il vero punto non è il rimbalzo di quest’anno. E’ la crescita dal 2022 in poi: che deve essere solida e duratura. Affrontando seriamente le ombre che intanto sono calate sui mercati internazionali. E che frenano la crescita italiana e globale.  Gli aumenti a doppia cifra delle commodities minerarie e agricole. L’aumento vertiginoso dei prezzi energetici, che siamo ansiosi di comprendere come il Governo tenterà di arginare.

“Si aggiungono poi sempre più stretti colli di bottiglia nel commercio mondiale. Con le proposte che attraverso il B20 presenteremo a Draghi il prossimo 8 ottobre, vogliamo contribuire a spingere il G20 verso una svolta di efficacia alla prossima Conferenza Ministeriale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, bloccata da anni. Mentre, a novembre, Italia e Regno Unito che co-presiedono la COP26, dovranno battersi perché tutti i maggiori Paesi del mondo condividano gli impegnativi obiettivi della lotta al cambiamento climatico.

Ma è proprio la transizione energetica – ha sottolineato Bonomi – ad avere impatti molto rilevanti su intere componenti della nostra industria. E sui suoi occupati: centinaia di migliaia. Su questo vogliamo essere chiari. In Confindustria non c’è alcuna tentazione di non assumere obiettivi radicali, come radicale è l’accelerazione in tempi così rapidi della riduzione del 55% di emissioni di CO2 al 2030, e la neutralità carbonica al 2050. Avanziamo però una triplice richiesta”.

“La prima è che la realizzazione di questi traguardi in orizzonti così ristretti sia davvero credibile.  Attualmente uno sviluppo della capacità delle fonti rinnovabili di 8GW all’anno, come indicato dal Ministro Cingolani, sarebbe velleitario. Significherebbe raddoppiare nei prossimi dieci anni la capacità di rinnovabili installata negli ultimi 20 anni, risultato impossibile da raggiungere senza un cambio radicale del meccanismo autorizzativo”.

“La seconda è che questo sforzo avvenga in un quadro mondiale di reale cooperazione. L’Europa, emette solo l’8% dei gas climalteranti; senza un impegno globale non miglioreremo pressoché in nulla il problema”.

“La terza richiesta è ancor più decisiva: è necessario accompagnare la transizione energetica con chiare strategie di politica industriale. Parti fondamentali della nostra industria resterebbero altrimenti esposte a rischi di chiusura o delocalizzazione. I big players tedeschi dell’auto, dopo i colpi severi del dieselgate, hanno comunque risorse finanziarie tali, da aver potuto annunciare nuovi modelli elettrici con investimenti complessivi per oltre 70 miliardi di euro. Ma le migliaia di piccole e piccolissime imprese italiane fornitrici di componentistica meccanica, parti di scocche e telai, si trovano ad affrontare la transizione senza adeguato supporto per i necessari investimenti. Dalla produzione del cemento all’acciaio, si rischia di spacciare come risultato positivo il minor consumo di energia per unità di prodotto, uscendo da queste produzioni, e dipendendo ancor più dall’estero. Ci bastano 9 anni di follie pubbliche sull’ILVA di Taranto che ci obbligano a importare i laminati piani che non si producono più lì, senza dovervi aggiungere anche perdite massicce di produzione e di occupati anche per il Fit-for-55.

“Serve dunque una valutazione seria dei governi di Italia, Germania e Francia, sia degli impatti economici e sociali dei nuovi obiettivi, sia delle risorse per affrontare i costi sociali, perché le proposte dalla Commissione Europea, così come sono ora, sono inadeguate. Il costo della transizione energetica per l’Italia potrebbe superare i 650 miliardi di euro nei prossimi 10 anni. Per quanto importanti siano i fondi che il PNRR dedica alla transizione energetica, sono solo il 6% del totale necessario. Quasi il 94% lo devono investire le imprese. Ma se al contempo devono fronteggiare gli spiazzamenti tecnologici e di produzione, tutto diventa difficilmente realizzabile.

“In una sola frase – ha concluso Bonomi – noi siamo per la transizione ambientale ed energetica, ma questa deve avvenire nella regia di una governance se non mondiale almeno europea, ma, al contempo, chiediamo al presidente Draghi che al Consiglio Europeo di non prendere per “oro colato” tutto ciò che contiene la proposta della Commissione.

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